La nonna aveva portato quel vassoio la mattina presto. Neg sollevò delicatamente il tovagliolo di carta. Erano ammucchiate come monete d'oro in un baule. Fissò quei medaglioni dorati inquieto, un moto di vomito gli salì in gola quando vide una protuberanza verdastra su un medaglione. Un odore pungente di formaggio avariato gli si conficcò nelle narici come spilli. Rabbrividì al pensiero di quanti di quegli obbrobri suo padre avesse inzuppato nel latte a colazione. Disgustato prese posto a tavola. Infilò la mano dentro un sacchetto di taralli.
— Perché non mi mangi? Una voce stridula riecheggiò dal lavello. Neg voltò la testa e si avvicinò al vassoio mentre masticava. — Sai… io sono buona.
Sobbalzò.
— C-Chi parla?
— Sono io — la protuberanza sulla pastarella iniziò a deformarsi come un blob. — Il mio nome è X0852098 — un sorriso stilizzato comparve sul blob.
Neg diventò pallido, fissava quella poltiglia viscida con gli occhi sgranati.
— Le muffe parlano?
— Non tutte — la muffa si deformò trasformandosi in un indice che prese a oscillare come a dire no. — Io appartengo alla specie Saccharomicyes cervellus sapiens — Siamo muffe intelligenti.
— Se sei davvero intelligente come dici… perché mi stai chiedendo di mangiarti?
Il blob rimase interdetto per qualche secondo.
— Ah, pensi sia stupido?
— Sì.
— Ma se voi umani mangiate di tutto?!
— Non io, soprattutto i dolci, Io odio i dolci. Poi mia nonna non li sa fare bene.
— È il compleanno di un amico? Cornetti. Hai trovato un nuovo lavoro? Pasticcini. Fa caldo e sei in giro con gli amici? Gelato.
Neg voleva tanto mettergli qualcosa in bocca per farlo stare zitto ma non sapeva dove fosse la sua bocca.
— Dai piccolo umano, mangiami!
Neg deglutì lentamente. Aveva lo sguardo febbrile.
— Camilla…! Vieni qui subito!
Sua sorella ciabattò in fretta e in furia verso la cucina. Aveva le cuffie sulle spalle. Riusciva persino a sentire la batteria e le schitarrate della canzone che stava ascoltando.
— Qual è il problema nanerottolo?
— C'è una muffa che parla e... vuole che io la mangi!
Camilla si girò verso il vassoio. — Ciao! — il blob parlò di nuovo con la sua voce stridula. Camilla era immobile. — Emm Camilla…? L’orologio sul muro ticchettava. — Ti… ti senti bene? Una goccia cadde dal rubinetto. — Neg…Sua sorella aprì bocca, ma non parlava più con la voce di una sedicenne. Aveva la voce profonda, di un uomo che sembrava provenire dall'oltretomba. Neg aveva sentito parlare della pubertà ma non si aspettava che avesse questi effetti. Camilla iniziò a camminare verso di lui con un sorriso innaturale stampato in viso. I suoi occhi erano diventati argentati. Accordi di chitarra e bassi. — Camilla… — Neg indietreggiava terrorizzato. Kenny Starboy cantava a squarciagola. — Mangia la pastarella. — Y9532837! — il blob era in visibilio. — Fratello…! Da quanto tempo! — Uhh… PhilipS…! Chiamami PhilipS bro, con la esse finale. — Philips? Ti sei scelto un nome umano? Ma mi avevi promesso che avremmo scelto insieme i nostri nomi quando entrambi avremmo ottenuto i nostri corpi! Neg sentiva il suo cuore martellare. Che cosa diavolo stava succedendo in quel pomeriggio? Allungò la mano verso uno sportello. — Ho letto questa parola su questo aggeggio umano — la ragazza indicò la scritta sulle cuffie. — Sto’ tizio canta così bene che ho deciso di prendere il suo nome, PhilipSS, non è soave? — Mamma e Papà sono in astronave? — Non sai che figata allucinante il sistema nervoso degli umani! Non vedo l’ora di dormire, non è eccitante, eh bro? — Sì… — realizzando che suo fratello non aveva risposto alla sua domanda, il blob si afflosciò. SBAM!
Neg diede una padellata in testa alla sorella. Philips-Camilla cadde a terra privo di sensi come un sacco di patate. Il blob si appiattì. Neg aveva la fronte sudata ed il volto gli era diventato bianco come l’intonaco. — Bro! Lo dico sempre che ho un fratello logorroico. Neg sollevò il cucchiaio di legno violentemente a mezz’aria. La poltiglia tremava. — Dai… ti prego non farlo… sai anche io ho dei sentimenti. Affondò una prima cucchiaiata, dei pezzetti schizzarono via. — Ti prego. “Bring me to heaavennnn…” Poi una seconda, una terza. Una coltre di polvere di zucchero si sollevò. Ci fu una quarta più violenta. Frantumi e pezzi sbriciolati di pastarelle gli rimbalzarono in faccia, sul lavello e sulle piastrelle. “Becouse I’m gooddddd.” Neg fissò la sua opera d’arte ansimante, una melma spappolata di pastarelle. Poi scappò via. Le briciole scricchiolavano sotto i suoi piedi come ossa rotte. Correva. Davanti a lui le sagome delle casette si stagliavano contro il cielo che era un affresco di colori rosa e arancione. Un disco luminoso, dalla cangiante luce celeste, grande quanto uno stadio, era lì sospeso in aria. Ad accompagnare Neg, oltre all’odio per i dolci e per le muffe aliene, c’era soltanto il canto delle cicale.